Nel 2013 sono stati rimandati in patria 2.712 cittadini Ue perché “troppo poveri”. 265 gli italiani
Per intenderci, uno dei tre pilastri dell’Unione europea, caposaldo dei Trattati di Maastricht rischia di frantumarsi in mille pezzi. La ragione è semplice: la libertà di circolazione dentro i confini dell’Ue, costitutiva del modello europeo, è oggetto di attacchi, oggi più che mai, da parte di un mix indigesto di populismo reazionario e governi sempre più vigili alle frontiere. Come quello inglese di David Cameron, ripreso più volte dal Parlamento europeo perché ha alzato il tiro sugli ingressi dall’Est (dal 1 gennaio l’Ue ha aperto i confini a bulgari e rumeni in base a Schengen).
Insomma il sogno europeo sembra arrivato al capolinea. Almeno per i 2.712 cittadini dell’Unione che nel 2013 si sono visti recapitare un decreto di espulsione dalle autorità belghe.
Il Belgio è uno dei Paesi che ha più inasprito negli ultimi tempi le leggi sull’immigrazione.
I dati forniti dall’Ufficio competente del governo belga si sono duplicati rispetto agli anni precedenti e rappresentano più del 9 per cento del totale degli stranieri che hanno dovuto abbandonare il territorio per non disporre di mezzi sufficienti a mantenersi.
Tra le comunità più colpite ci sono rumeni e bulgari, ma anche olandesi, francesi, spagnoli e italiani. Nell’anno appena concluso ben 265 italiani, armi e bagagli in mano, sono dovuti rientrare in tutta fretta nel Paese natio.
È successo di recente alla bolognese Silvia Guerra, 38 anni, artista di strada e madre di un bambino di otto anni, da tempo residente a Bruxelles, che si è vista recapitare un decreto di espulsione firmato dal sottosegretario all’immigrazione. Privi di risorse necessarie per assicurare il loro mantenimento e quello dei familiari, la donna italiana, così come gli altri cittadini nella stessa situazione, rappresenterebbero un peso insostenibile per il welfare del Paese.
Mostrare però la porta d’uscita a un europeo in pieno diritto non è certo lo stesso che farlo con qualsiasi altro straniero. Una portavoce dell’Ufficio Immigrazioni belga ci spiega la differenza. Quando le autorità dimostrano che la persona rappresenta “un onore eccessivo” per il sistema sociale (per esempio, se non ha lavorato per molto tempo e, di contro, usufruisce di aiuti sociali), si emette un’ordinanza di espulsione, che può essere accettata o meno. In caso di resistenza, il Belgio non ricorre certo alla forza: non mette i cittadini su un volo né li priva della loro libertà. Semplicemente gli chiude tutti i canali ufficiali in un Paese dove è essenziale avere un contratto di locazione (o di proprietà) per registrarsi in Comune e poter accedere alla sanità, all’istruzione e tutti i vantaggi che offre territorio.
Insomma «non li cacciamo con la forza, ma li cancelliamo dai registri ufficiali», spiega la portavoce, che sottolinea come queste persone rimangano così condannate a vivere in clandestinità, se non tornano nei loro Paesi d’origine. Ma nulla impedisce loro di spostarsi in un altro Paese e perfino di ritornare in Belgio: sia a Bruxelles che nelle altre capitali membri dell’Ue, il cittadino è assolutamente protetto durante i primi tre mesi di soggiorno. Dopo quel periodo però – e qui il nodo della questione – deve soddisfare almeno una di queste quattro condizioni: lavorare (o essere in cerca di lavoro se rimasto disoccupato), avere risorse sufficienti per mantenersi, avere un’assicurazione sanitaria per evitare di diventare un onere per l’assistenza sociale statale durante il soggiorno, essere studente. Per intenderci, tanto quanto riporta la direttiva europea.
«Non conosco il caso specifico», dice Francesco Rossi dal Pozzo, professore di Diritto europeo all’Università statale di Milano. «Tuttavia, mi pare di capire che siano stati assunti provvedimenti di allontanamento di cittadini inattivi in quanto considerati un onere sociale per lo Stato ospitante. I riferimenti normativi sono contenuti nella direttiva 2004/38/CE e, precisamente, negli articoli 7 e 14. In sostanza, le persone inattive, devono disporre, per se stessi e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divengano un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il periodo di soggiorno, e di un’assicurazione di malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro».
Eppure la stessa direttiva «riconosce il diritto di soggiorno del cittadino dell’Unione il quale, dopo avere esercitato un’attività lavorativa, si trovi in stato di disoccupazione o sia iscritto presso un ufficio di collocamento». Basta leggere poi anche il punto 3 dell’articolo 14 che recita: «Il ricorso da parte di un cittadino dell’Unione o dei suoi familiari al sistema di assistenza sociale non dà luogo automaticamente ad un provvedimento di allontanamento». Tanto basta per capire che l’ambiguità c’è.
E infatti qualcosa si muove: alcuni politici hanno già protestato, come il deputato socialista dei francesi del Benelux Philip Cordery. Ma il Segretario di Stato per l’asilo, l’immigrazione e l’integrazione sociale belga Maggie de Block ha deciso di non replicare. La stessa de Block, del partito liberale fiammingo Open Vld, ha rafforzato la politica nazionale di asilo e immigrazione da quando ha assunto la circa a fine 2011. E pare non esser la sola. In Baviera, l’adozione di un provvedimento analogo è già in discussione. Il governatore Horst Seehofer, tifoso della cancelliera Angela Merkel, ha proposto di ricorrere all’espulsione dei cittadini europei, qualora colpevoli di abusi nei confronti del welfare tedesco. E questo proprio mentre l’altra faccia di Bruxelles, nella persona del commissario per l’Occupazione, gli affari sociali e l’integrazione László Andor, presenta una guida pratica per frenare il fenomeno.
La pubblicazione, esposta la scorsa settimana, tratterà casi pratici per mettere fine al malessere generato in Paesi come il Regno Unito, la Germania o l’Olanda in merito al mal definito “turismo dei sussidi”, tipico degli europei più in difficoltà. Insomma, come a dire, non è più solo questione di un’Europa a due velocità, ma anche di un’Europa a porte chiuse. Che sta già girando la seconda mandata.
DATI FORNITI DALL’UFFICIO IMMIGRAZIONI DEL GOVERNO BELGA:
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